Testimonianza di una psicoterapeuta sospesa

Il 2 novembre, l’ordine degli psicologi, insieme all’ordine di tutti i professionisti sa­nitari, ha deliberato la radiazione nei confronti di tutti gli iscritti che verranno trova­ti a diffidare pubblicamente della “scienza”. A sostegno di tutte queste figure pro­fessionali diffondiamo questa lettera di una psicoterapeuta che non ha potuto par­tecipare all’iniziativa pubblica promossa dalla “Rete No Green Pass Valsusa” do­menica 14 novembre ad Avigliana.

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Quando mi è stato proposto di fare questo intervento oggi ho accettato con en­tusiamo, onorata di poter portare il mio contributo in questa sede.

Svolgo il mestiere di psicoterapeuta da diversi anni, chi mi conosce mi sente spesso affermare con convinzione che faccio il lavoro più bello del mondo, perché così io lo percepisco. Mi sono laureata a pieni voti, nei tempi giusti, ho conseguito una seconda laurea alcuni anni dopo, due specilizzazioni e alcuni master. Oltre a svolgere il mestiere di psicoterapeuta insegno in una scuola di specializzazione e sono responsabile del ramo della ricerca in psicoanalisi presso un centro clinico.

Vi racconto il mio percorso professionale perchè voglio spiegarvi cosa sto vi­vendo in questo periodo, all’apice della mia carriera: sono attualmente sospesa, ho dovuto lasciare tutti i pazienti che seguo e non mi è permesso di svolgere le sedute nemmeno online.

Evidentemente questo terribile virus è così potente da poter infettare anche at­traverso la rete internet e le piattaforme online.

Non posso svolgere la professione che ho scelto, nella quale ho tanto investito e che vivo con responsabilità e serietà, oltre che con il cuore.

Durante il primo lock-down ho sempre seguito tutti i miei pazienti svolgendo sedute online e nessuno di loro si è slatentizzato o ha avuto crolli psicologici, o ripercussioni psicofisiche dovute, comprensibilmente, al clima di terrore e di tensione che vigeva, nemmeno i pazienti affetti da ipocondria, proprio perché avevano a disposizione lo spazio terapeutico.

Il motivo per cui oggi non sono qua a parlare di persona ma mi avvalgo di un’amica che si è resa disponibile a leggere il mio discorso, è causato dalla paura che mi imbavaglia la bocca.

Il 2 novembre, infatti, l’ordine degli psicologi, insieme a tutti gli ordini professio­nali sanitari, ha deliberato che gli iscritti sorpresi a proferire parole o a diffon­dere notizie sui social-media che vanno contro quello che loro hanno definito “scienza” avranno ripercussioni disciplinari. Essendo io al momento sospesa rischio la radiazione.

Mi hanno chiesto come mi sento… il termine che rende accuratamente come io mi sento è VIOLENTATA nei miei diritti, ABUSATA nella mia persona in molte sfaccettature e TRATTATA

COME UNA DELINQUENTE.

Il vuoto che sento nell’anima è riempito dalle lacrime che verso ogni giorno da quando mi hanno sospesa.

Vorrei gridare al mondo quanto sia terribile il clima repressivo nel quale siamo immersi, vorrei urlare tutta la mia rabbia e il mio dolore a chiunque, soprattutto a coloro i quali non hanno compreso cosa sta accadendo oggi in Italia, a colo­ro i quali non vedono il terribile clima repressivo e dittatoriale che si è diffuso pericolosamente nel nome della paura e della scienza.

Per spiegarvi cosa si muove nelle persone partirei dal raccontarvi una favola di Esopo, La volpe e l’uva, che credo molti di voi conosceranno. «C’era una volta una volpe che vagava tranquilla per il bosco, aveva appena bevuto a un ru­scello e si stava avventurando in cerca di cibo verso i campi coltivati, appena fuori dal paesello vicino. Era già mattina inoltrata e la fame iniziava a farsi sen­tire. Mentre camminava vide una bella vigna piena di bellissimi grappoli d’uva. La volpe si avvicinò furtiva a uno dei grappoli, quello che le sembrava più vici­no. La volpe prese la rincorsa e fece un balzo cercando di afferrare il grappolo, ma niente, non ci arrivò. Ci riprovò, ma anche questa volta non riuscì. Provò e riprovò, ma niente. Stremata dalla fatica e dalla fame, per non ammettere di non essere riuscita nella sua impresa disse: − meglio così, tanto di sicuro quel grappolo era ancora acerbo e mangiarlo mi avrebbe fatto venire il mal di pan­cia! – anche se sapeva benissimo che non era vero!

Questa fiaba spiega con semplicità il fenomeno della dissonanza cognitiva. Come la volpe, infatti, tante persone si spiegano la situazione attuale spostan­do lo sguardo su ciò che è ritenuto più accettabile, per evitare il senso di falli­mento che comporta l’analizzare le proprie scelte e metterle in discussione. È più facile mentire a se stessi raccontandosi che l’uva era acerba… che il siero protegge, che il siero riduce i contagi, che iniettarsi il siero è segno di un com­portamento socialmente responsabile, piuttosto che aprire gli occhi e valutare le conseguenze di tali scelte. È più facile raccontarsi che l’uva è acerba piutto­sto che mettere in discussione la medicina ufficiale, nella quale tanto hanno creduto e confidato e alla quale si sono da sempre affidati perché questo sa­rebbe troppo doloroso e si sentirebbero persi e senza coordinate e protezioni.

Quante persone, infatti, abbiamo sentito affermare che si sono iniettati il siero perchè lo aveva consigliato vivamente il medico condotto?

Aprire gli occhi comporta prendere coscienza del senso di solitudine, di vuoto, e della paura di non avere più riferimenti in coloro i quali sono stati investiti di fiducia e ai quali si è affidata la propria salute e, in molti casi, la propria vita.

Questo è il fenomeno della dissonanza cognitiva: avere, cioè, due pensieri dia­metralmente opposti che non trovano apparentemente vie di incontro e sce­gliere di polarizzarsi su quella che fa meno male. Ecco che si combatte con forza l’altra, in ogni modo, evitando così di vedere, voltando lo sguardo e attac­cando tutti coloro i quali portano luce sullo stesso contenuto che si è cercato di evitare, sulla stessa idea che si è scartata in precedenza. Ecco perchè i vicini attaccano i vicini, gli amici demonizzano gli amici, i colleghi criticano i colleghi. Ecco perchè ora l’Italia è divisa, una parte esprime quel pensiero che è stato scartato, evitato, rifiutato e l’altra deve farla tacere a ogni costo.

Oltre a ciò l’uomo, per sua natura, tende ad aver bisogno di qualcuno che lo conduca e lo guidi nel suo viaggio, fatica a stare nella libertà più assoluta che spesso è destabilizzante. L’essere umano vive una battaglia epica tra eros e tanatos, tra istinti di vita e istinti di morte, laddove il timore della morte, in alcu­ni casi, è più forte dell’energia vitale. Il bisogno di convogliare le proprie parti aggressive, inaccettate, all’esterno, genera, talvolta, la necessità di trovare un NEMICO fuori da sè da attaccare e da abbattere. La paura mette l’individuo a contatto con le sue parti più violente, e quando ciò accade, queste sono troppo difficili da accogliere e sostenere, perciò devono trovare immediatamente una via in cui essere convogliate e rigettate. L’uomo, da anni, è cavia inconsapevo­le di esperimenti sociali che hanno trovato la massima espressione quando si è diffuso il virus Covid-19.

Alcuni di voi conosceranno gli esperimenti dello scienziato Pavlov che studiò le risposte involontarie dei cani a stimoli sensoriali esterni. Ogni volta che a questi cagnolini veniva portato del cibo, contemporaneamente si attivava il suono di una campanella. Trascorso un tempo prestabilito gli animali salivava­no al solo suono della campanella, senza che fosse necessario portare del cibo.

L’essere umano è come quei cani, al solo suono della parola “virus”, “pande­mia”, “infezioni”, attiva comportamenti privi di senso logico, non è più in grado di vedere la realtà lucidamente, non riesce a discernere il bene dal male, cer­cando solo di rifugiarsi in protocolli che placano la paura, al punto tale da non riconoscere un regime dittatoriale perché celato da protezione dalla malattia e dalla morte, pur di non ricadere nella reclusione e nel terrore di due anni fa.

Questo spiega perché, pur di fronte alla verità, palesata senza troppi oscuran­tismi, la persona volta lo sguardo e non vuole vedere. Ecco perché di fronte a notizie scomode come quelle che i morti per Covid-19 nel 2020 non sono stati 150.000 ma 4.000 circa non generano rabbia. Ecco perché di fronte alle rea­zioni avverse e alle morti causate dalle inoculazioni del siero molti si voltano dall’altra parte. Ecco perché chi esprime pareri contro la medicina ufficiale vie­ne attaccato, sospeso, sminuito, deriso, come accaduto al dottor De Donno o ai medici appartenenti al gruppo di Ippocrate.org e a tutti i sanitari banditi dal loro luogo di lavoro.

Io porto qui, inoltre, anche la delusione verso i miei esimi colleghi che non ri­cordano la storia della psicoanalisi.

Freud aveva origini ebraiche e per questo la psicoanalisi nel periodo nazista fu considerata una scienza ebraica e tutti i libri scritti da Freud furono bruciati in piazza a Berlino. E anche l’Istituto di Berlino, fondato dallo stesso Freud, do­vette chiudere a caua delle persecuzioni naziste. Per queste narrazioni stori­che noi psicologi dovremmo ricordare cosa sia la discriminazione e combatter­la in ogni modo.

Eppure questi esimi psicoanalisti e filososofi che si riempiono la bocca con i pensieri di Freud, scivendo libri e andando nei salotti a professare la psicoana­lisi ora, non ricordano, e lasciano che la storia si ripeta, schierandosi con que­sto potere dittatoriale e, anzi, promuovendo questo clima di chiusura e ostraci­smo. Evidentemente il dio denaro prevale sulla memoria e sulla propria etica.

Spero che le mie parole vi siano arrivate e servano come testimonianza per far luce, almeno un po’, su ciò che sta accadendo ad oggi nel nostro Paese.