20 ottobre 2022. Tribunale di Sassari. Alfredo Cospito interviene in videoconferenza. Dichiara di iniziare uno sciopero della fame illimitato, contro le condizioni di vita intollerabili sue e di chi come lui è rinchiuso in regime 41 bis. Ma il giudice chiude il collegamento. Clic. Gli basta schiacciare un pulsante. Non c’è nessuno in aula: porte chiuse. Solo l’avvocato, che però non può rendere pubbliche le dichiarazioni del suo assistito, pena gravi conseguenze legali, fino alla radiazione dall’albo. Praticamente, Alfredo è sepolto vivo.
Alfredo è un anarchico. È stato arrestato la prima volta, negli anni Novanta, per obiezione di coscienza, per non aver voluto fare il servizio militare. Oggi è in carcere perché accusato di un ordigno contro una caserma dei Carabinieri, avvenuto sedici anni fa, in cui non ci sono stati né morti né feriti. «Strage contro la sicurezza dello Stato», così l’ha definito la Cassazione, un reato del Codice fascista, per cui la pena minima prevista è l’ergastolo (mai usata in Italia, neanche per le stragi di piazza Fontana, Bologna, Capaci…). Ergastolo che Alfredo rischia di scontare al 41 bis. Un’ora di colloquio al mese con il vetro. Zero socialità, zero attività. Un’ora d’aria tra quattro mura di cemento. Zero libri e giornali dall’esterno. Posta censurata o bloccata. Un regime di annientamento, deprivazione sensoriale. Tortura bianca si chiama. Vendetta di Stato. Piuttosto di “vivere” così, Alfredo ha dichiarato che preferisce combattere fino a lasciarsi morire.
Chi oggi parla di carcere come strumento di reinserimento o rieducazione mente sapendo di mentire. Il carcere è una discarica sociale. Un girone infernale dove buttare a marcire i poveri che non ce la fanno. Questo è. È lì per tutti noi. E visto che i poveri aumentano ogni giorno, ogni giorno aumentano gli strumenti per distruggerli e annientarli, in particolare per quelli che non piegano la testa. Per questo si accaniscono contro Alfredo, come contro Anna, Juan, e tutti gli altri e le altre che, dentro e fuori le galere, non rinunciano a lottare. Per questo non possiamo lasciarli soli. Per questo la loro lotta deve essere la lotta di tutti noi.